Tra le cause che spiegano l’aumento delle nascite pretermine, anche i tagli cesarei effettuati prima della 39esima settimana di gestazione. Il dato emerge nell’ultimo rapporto OMS Born too soon: the global action report on preterm birth pubblicato a maggio 2012.
Ogni anno nel mondo nascono 15 milioni di bambini prematuri, con un rapporto di oltre 1 nascita pretermine ogni 10, segnando un preoccupante aumento di casi negli ultimi 20 anni in quasi tutti i Paesi presi in esame dagli esperti dell’Oms. Disparità di cause sono state rilevate a seconda delle diverse aree geografiche analizzate, per cui è emerso che più del 60 per cento delle nascite premature avviene in Africa e nell’Asia del sud, ma che la variabilità riguarda anche i Paesi del Nord del mondo. Basti pensare che negli Stati Uniti il 12 per cento dei neonati nasce prematuro contro una proporzione media del 9 per cento dei Paesi a reddito elevato, e del 7 per cento in Italia.
Tra le cause addotte a spiegare l’incidenza delle nascite premature nei Paesi ad alto reddito, il rapporto OMS include l’aumento dell’età materna al parto, il maggiore ricorso alle tecniche di riproduzione assistita con conseguente maggiore frequenza di gravidanze gemellari e, in alcuni Paesi, ai tagli cesarei effettuati prima della 39esima settimana di gestazione.
Nei Paesi a basso reddito, invece, le cause dei parti prematuri sono riconducibili a infezioni, malaria, Hiv, maggiore frequenza di gravidanze nelle adolescenti insieme alle condizioni di deprivazione sociale e alla mancata o carente assistenza all’epoca preconcezionale, alla gravidanza e al parto.
Il rapporto Istisan 11/44 dell’Istituto Superiore di Sanità Esiti dei neonati di basso peso nelle Terapie Intensive Neonatali partecipanti all’Italian Neonatal Network nel 2008 chiarisce quanto sia diffusa la pratica del taglio cesareo, precisando che nei casi di nascite premature “ la percentuale di tagli cesarei è pari al 79,5% e quella dei parti vaginali al 20,5% sul totale dei nati”. E’ più frequente ricorso al taglio cesareo all’aumentare dell’epoca gestazionale, con valori che superano l’80% a partire dalla 28ª settimana. Anche l’analisi per classi di peso indica che il ricorso al taglio cesareo è più frequente all’aumentare del peso dei nati. Tuttavia, si legge nello stesso documento, “È opportuno ricordare che, alla luce delle evidenze disponibili, in caso di travaglio pretermine spontaneo senza fattori di rischio materni e/o fetali non vi sono prove conclusive a sostegno dell’efficacia del taglio cesareo nel migliorare gli esiti neonatali. Pertanto prima di ricorrere al taglio cesareo andrebbe valutato il profilo benefici/rischi del neonato e della madre avendo cura di prendere in considerazione anche i futuri desideri riproduttivi della donna”.
Nascita pretermine: definizione
Secondo la definizione OMS, la nascita pretermine è riferita a tutti i nati prima delle 37 settimane complete di gestazione o meno di 259 giorni dal il primo giorno dell’ultimo ciclo mestruale di una donna.
La nascita pretermine può essere ulteriormente suddivisa in base l’età gestazionale: estremamente pretermine (< 28 settimane. Questi bambini richiedono cure costose per sopravvivere. Nei paesi sviluppati, questi bambini hanno una probabilità del 90 per cento di sopravvivenza, anche se possono soffrire per tutta la vita disabilità fisiche, neurologiche e di apprendimento. In paesi a basso reddito, solo il 10 per cento sopravvive); molto pretermine (28 – <32 settimane. La maggior parte di questi bambini sopravvive); moderatamente pretermine (32 – <37 settimane complete di gestazione).
Me pregunto ¿ Como vivio el bebe en la incubadora humana?
Siamo di fronte a uno dei pif9 ectaalnti esempi contemporanei di pensiero unico , enunciato dalle istituzioni (in primo luogo dal Ministero della Salute), divulgato dai mass media e sposato dalle societe0 mediche. Il presidente SIN, Paolo Giliberti, dice che i motivi dell’alta frequenza di cesarei in Italia sono tanti, e ha ragione, ma poi aggiunge che quello pif9 importante e8 rappresentato dalle inappropriate dimensioni del centro nascita ed e8 certo che la loro aggregazione porterebbe alla riduzione dell’eccessivo ricorso al TC.Su questo argomento ci sarebbe molto da dire. Chi ha voglia di approfondirlo puf2 leggere gli interventi del Forum sul cesareo, ospitato su Quaderni ACP e che sta per concludersi. Anche senza entrare nel merito dei rapporti causa-effetto e di come essi possono essere studiati e identificati, e8 abbastanza evidente che per prevenire un effetto bisogna eliminare o limitare le cause. Il punto e8 proprio questo: le ridotte dimensioni dei centri nascita sono le cause dell’epidemia di cesarei in Italia?Proprio in Campania, la regione con la maggior frequenza del fenomeno, esiste un ospedale di II livello dove nel giro di 5-6 anni i cesarei sono passati dal 53% al 17% dei parti, in assenza di modifiche della popolazione afferente e della distribuzione dei fattori di rischio. Come mai? Il fatto che cif2 sia avvenuto significa che le variabili principali che entrano in gioco non sono ne9 ambientali ne9 strutturali. Sono forse solo professionali, cioe8 legate al modo in cui le persone lavorano?Ma poi, se anche venissero eliminati i punti nascita pif9 piccoli lasciando invariato tutto il resto, di quanto diminuirebbero i cesarei? Se si chiudessero i centri con numero di nati <500, i cesarei passerebbero dal 35% al 34,3% negli ospedali pubblici e dal 58,3% al 58% nelle strutture private; se la chiusura riguardasse i centri con meno di 800 parti o di 1000 parti, le frequenze sarebbero rispettivamente del 33,8% e 33,4% nel pubblico e 53,6% e 52,6% nel privato. Ben poca cosa! Con guadagni, forse, solo economici, ma quasi inesistenti in termini di salute della popolazione.Se si provasse a chiedere a una donna alle ultime settimane di gravidanza, in buona salute e senza patologie ostetriche o fattori di rischio, dove preferirebbe partorire: se in un grande centro lontano 100 Km da casa sua o in uno pif9 piccolo ma pif9 vicino al luogo di residenza, dove fossero garantiti gli stessi percorsi assistenziali e procedure, facendo parte i due punti nascita di un unico sistema integrato di cure, e fosse anche previsto il trasferimento immediato nel centro di riferimento in caso di potenziali problemi, quale pensiamo possa essere la preferenza della donna?Informazione e partecipazione della popolazione, formazione universitaria e post-universitaria, organizzazione dell’assistenza alla donna e al neonato integrata in grandi aree funzionali omogenee con diversi livelli di assistenza, programmi di miglioramento continuo della qualite0 e di technology assessment , accreditamento basato su precisi criteri adottati sull’intero territorio nazionale e non su semplici certificazioni amministrative, adozione delle linee guida, politiche regionali non fossilizzate sul contenimento della spesa, valutazione dei risultati raggiunti e trasparenza delle procedure adottate; sono queste alcune delle azioni che possono portare a contrastare efficacemente l’epidemia dei cesarei senza adagiarsi nel pensiero unico e senza l’intervento dei NAS, come pure si e8 pensato di fare. Carlo Corchia
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Siamo di fronte a uno dei pif9 ectaalnti esempi contemporanei di pensiero unico , enunciato dalle istituzioni (in primo luogo dal Ministero della Salute), divulgato dai mass media e sposato dalle societe0 mediche. Il presidente SIN, Paolo Giliberti, dice che i motivi dell’alta frequenza di cesarei in Italia sono tanti, e ha ragione, ma poi aggiunge che quello pif9 importante e8 rappresentato dalle inappropriate dimensioni del centro nascita ed e8 certo che la loro aggregazione porterebbe alla riduzione dell’eccessivo ricorso al TC.Su questo argomento ci sarebbe molto da dire. Chi ha voglia di approfondirlo puf2 leggere gli interventi del Forum sul cesareo, ospitato su Quaderni ACP e che sta per concludersi. Anche senza entrare nel merito dei rapporti causa-effetto e di come essi possono essere studiati e identificati, e8 abbastanza evidente che per prevenire un effetto bisogna eliminare o limitare le cause. Il punto e8 proprio questo: le ridotte dimensioni dei centri nascita sono le cause dell’epidemia di cesarei in Italia?Proprio in Campania, la regione con la maggior frequenza del fenomeno, esiste un ospedale di II livello dove nel giro di 5-6 anni i cesarei sono passati dal 53% al 17% dei parti, in assenza di modifiche della popolazione afferente e della distribuzione dei fattori di rischio. Come mai? Il fatto che cif2 sia avvenuto significa che le variabili principali che entrano in gioco non sono ne9 ambientali ne9 strutturali. Sono forse solo professionali, cioe8 legate al modo in cui le persone lavorano?Ma poi, se anche venissero eliminati i punti nascita pif9 piccoli lasciando invariato tutto il resto, di quanto diminuirebbero i cesarei? Se si chiudessero i centri con numero di nati <500, i cesarei passerebbero dal 35% al 34,3% negli ospedali pubblici e dal 58,3% al 58% nelle strutture private; se la chiusura riguardasse i centri con meno di 800 parti o di 1000 parti, le frequenze sarebbero rispettivamente del 33,8% e 33,4% nel pubblico e 53,6% e 52,6% nel privato. Ben poca cosa! Con guadagni, forse, solo economici, ma quasi inesistenti in termini di salute della popolazione.Se si provasse a chiedere a una donna alle ultime settimane di gravidanza, in buona salute e senza patologie ostetriche o fattori di rischio, dove preferirebbe partorire: se in un grande centro lontano 100 Km da casa sua o in uno pif9 piccolo ma pif9 vicino al luogo di residenza, dove fossero garantiti gli stessi percorsi assistenziali e procedure, facendo parte i due punti nascita di un unico sistema integrato di cure, e fosse anche previsto il trasferimento immediato nel centro di riferimento in caso di potenziali problemi, quale pensiamo possa essere la preferenza della donna?Informazione e partecipazione della popolazione, formazione universitaria e post-universitaria, organizzazione dell’assistenza alla donna e al neonato integrata in grandi aree funzionali omogenee con diversi livelli di assistenza, programmi di miglioramento continuo della qualite0 e di technology assessment , accreditamento basato su precisi criteri adottati sull’intero territorio nazionale e non su semplici certificazioni amministrative, adozione delle linee guida, politiche regionali non fossilizzate sul contenimento della spesa, valutazione dei risultati raggiunti e trasparenza delle procedure adottate; sono queste alcune delle azioni che possono portare a contrastare efficacemente l’epidemia dei cesarei senza adagiarsi nel pensiero unico e senza l’intervento dei NAS, come pure si e8 pensato di fare. Carlo Corchia