A differenza di tutti gli altri sport, in cui l’atleta ha a che fare solamente con il proprio corpo o al più con il proprio corpo e un mezzo meccanico che ne consenta l’espressione delle potenzialità atletiche, l’equitazione è un vero e proprio sport di coppia.
Chi lo pratica sa che il vero ostacolo di questa disciplina è il raggiungimento dell’equilibrio e dell’armonia tra cavallo e cavaliere, che devono imparare ad eseguire gesti atletici come fossero un’unica entità.
Equimozione e isodinamica – quell’insieme di tecniche che permettono di impostare la posizione e i movimenti del cavaliere in base alle esigenze e alle caratteristiche del cavallo – sono ormai termini sempre più utilizzati da chi è del settore – così come si sta lentamente facendo strada, anche in Italia, l’idea che i trattamenti osteopatici, per risultare efficaci, debbano essere eseguiti sull’animale per lenirne i dolori ma anche sul cavaliere, per correggere quei disequilibri che si ripercuotono sul cavallo.
«Il “trattamento binomio” non è ancora una pratica di dominio comune – spiega il collega Alberto Carletti, da oltre un decennio osteopata umano ed equino – ma il livello di attenzione si va alzando. Si inizia a capire che la linea di perturbazione funzionale va sempre dal cavaliere al cavallo e non al contrario e che se – per esempio – una persona ha più carico sul piede destro quando cammina, avrà la stessa disfunzione anche in sella. Questo, conseguentemente, porterà il cavallo a compiere un costante lavoro di aggiustamento posturale asimmetrico per mantenere l’equilibrio, che alla lunga significherà blocchi e resistenze».
Facciamo un passo indietro. Quando è nata la sua passione per l’osteopatia equina?
«Un approdo del tutto casuale, dopo l’incontro, in un maneggio di cavalli da gran premio, di un osteopata francese di chiara fama. All’epoca ero un semplice studente di fisioterapia e non conoscevo né l’osteopatia umana né quella equina. Dopo aver trascorso un intero pomeriggio al suo fianco e aver visto cosa si potesse fare con le semplici mani, mentre io mi affannavo a studiare le tecniche di utilizzo di ultrasuoni e fonti luminose, sono stato folgorato. Dopo la laurea in fisioterapia e la formazione in osteopatia umana, ho seguito così un corso con Eddie Deforest, osteopata belga che tra i primi ha portato la disciplina dell’osteopatia equina in Italia. Anche lui, come me, ha un trascorso e un presente in ambito umano. All’epoca l’osteopatia equina era un’innovazione, mentre oggi – e lo dico senza polemiche – è diventata un business: ci sono corsi che, in un solo anno, pretendono di formare e piazzare sul mercato uno studente senza alcun background relativo all’osteopatia umana, alimentando quel desiderio del “tutto e subito” che chi si occupa di salute – umana o animale che sia – non può assolutamente inseguire. Ritengo che questo genere di corsi provochi danni all’osteopatia in generale e a tutti quei professionisti seri che studiano per una vita intera».
Come ha imparato a relazionarsi con i cavalli e quali difficoltà ha dovuto affrontare?
«A molti sembrerà impossibile, ma c’è una somiglianza tra uomo e cavallo, dal punto di vista anatomico in generale e cranio-sacrale in particolare, davvero impressionante, per cui l’approccio alla palpazione, il dialogo con i tessuti è fondamentalmente lo stesso. C’è naturalmente da tener presente che il cavallo lavora sempre con una forte interferenza funzionale, rappresentate dalla sella, dalla testiera, dal sottopancia e dal peso del cavaliere. Ho imparato per questo a rapportarmi con le selle, un universo di cui ero totalmente all’oscuro e che oggi mi è di grande aiuto conoscere. Una sella troppo piccola o troppo grande, magari corretta con un cuneo in gommapiuma, è quanto di più deleterio possa esistere per il cavallo, che scarica il peso sul garrese. Questa zona del tronco è un vero e proprio centro vitale, perché da qui che parte il legamento nucale, da cui provengono molti mal di schiena, dolori al collo e gran parte delle rigidità. Certi dettagli sono fondamentali, anche se sottovalutati. È purtroppo ancora radicato il luogo comune che ‘il cavallo faccia il lavativo’, per cui è sufficiente vincere le sue difese e resistenze, tirando più forte, per sistemare ogni cosa. Basterebbe capire che invece sta solo cercando di sottrarsi a qualcosa di sgradevole e doloroso per aprire gli occhi di fronte alle piccole cose che migliorano la vita di cavallo e cavaliere».
Come si svolge una seduta di osteopatia equina?
«Si svolge partendo da un dialogo accurato con chi cavalca, che è l’unico a poter tradurre il messaggio di SOS del cavallo. Posto che esistono problemi base, che si ripetono in tutti gli animali, chi monta fornisce bussole fondamentali, da cui dipenderà l’esito del trattamento. Dopo la diagnosi segue la manipolazione, con tecniche varie, mai invasive, che dipendono anche dal grado di sopportazione dell’animale. Al contrario di quanto accade per l’uomo, nel caso del cavallo basta quasi sempre una sola seduta, perché c’è una strutturazione emozionale del dolore molto diversa. Seppure dotato di un arcobaleno emozionale davvero ricco, il cavallo non àncora il dolore ai conflitti emozionali, che sono invece alla base di molte disfunzioni di origine non traumatica che riguardano l’uomo».
I cavalli sono pazienti difficili da manipolare?
«Assolutamente no. Ci sono che si lasciano andare facilmente al contatto con l’uomo e cavalli maltrattati che manifestano paure o difese. Entrambi continuano ad aprirsi come un fiore quando vengono manipolati. Spesso lavoro ad occhi chiusi per concentrarmi meglio sul lavoro manuale. Sapete? Dalle fotografie mi sono accorto che chiudono gli occhi anche loro: sono così profondamente rilassasti da riuscire ad isolarsi dal contesto. Sentire un essere di svariati quintali, completamente abbandonato nelle tue mani e nella più totale fiducia, è davvero una sensazione meravigliosa».
Come funzionano invece i già citati trattamenti “binomio”?
«Funzionano come ogni altro trattamento, solo che l’anamnesi è combinata. Le rigidità del cavallo e i dolori del cavaliere vengono messi in relazione all’attività in sella, poi, naturalmente si lavora separatamente. Sul fronte del prevenzione, cosa frequentemente trascurata, esistono invece veri e propri esercizi di coppia che propongo nel corso di appuntamenti che definisco di “cultura equestre”. Uscendo dal contesto strettamente osteopatico in senso stretto, periodicamente incontro cavalli e cavalieri per esercizi di stretching combinati, funzionali a mantenere un buon livello di elasticità equestre. Il prossimo, a proposito, è in programma a Piacenza il 6 ottobre. In questi incontri cerco di approfondire i temi della biomeccanica, dell’osteopatia e della fisioterapia, dell’anatomia comparata, ma soprattutto cerco di trasmettere il messaggio che solo la conoscenza riuscirà a mantenere per la salute funzionale del cavallo».
Quanto c’è ancora da lavorare per sensibilizzare cavalieri e scuole di equitazione sul tema?
«Sono speranzoso, nonostante l’equitazione informata non sia ancora appannaggio di tutti i centri di equitazione. Ogni cavaliere dovrebbe sapere che il cavallo è nato e si è evoluto per brucare e riprodursi nei pascoli: anche se ben fatta, l’equitazione è una inevitabile forzatura, come lo è qualsiasi sport praticato dall’uomo, con tutte le conseguenze che ne derivano. Conoscere è fondamentale, perché la prevenzione passa sempre dalla conoscenza. Sarebbe bello, in questo senso, che fossero i veterinari a tracciare una via. Mi spiego meglio: le infiltrazioni di cortisone praticate dai veterinari, per quanto utili, eliminano solamente il dolore, senza risolvere il problema dal punto di vista biomeccanico e funzionale. Per evitare che i problemi si ripetano o le patologie si complichino, servono trattamenti che probabilmente solo l’osteopata potrà offrire. Sarebbe auspicabile, pertanto, che veterinari e osteopati ampliassero vicendevolmente il proprio raggio di azione, lavorando in tandem. All’estero questa è da tempo una felice routine».