L’osteopatia in ambito cranio-sacrale è un particolare sistema di diagnosi e trattamento descritto per la prima volta, nel 1939, da William G. Sutherland e rientrato successivamente nel “mare magnum” tecnico-formativo dell’osteopata.
In questa particolare metodologia, sia l’atto valutativo, sia il momento terapeutico ruoterebbero intorno alla sincronizzazione manuale con il “Movimento Respiratorio Primario” (MRP), un particolare movimento fisiologico, involontario, ritmico e periodico, apprezzabile a livello craniale e sacrale, secondo un’espressività ritmica di 10-14 cicli/min.
Secondo le descrizioni originarie del suo scopritore, questo fenomeno dipenderebbe da precisi fattori, quali:

  1. Movimento “inerente” del sistema nervoso, ovvero, la motilità intrinseca del Sistema Nervoso, correlata a sua volta da dinamiche cellulo-metaboliche ed alla fluttuazione/riassorbimento/produzione del liquido cefalo-rachideo;
  2. Trasferimento fisico del “movimento inerente” alle membrane durali, elementi a loro volta in rapporto di continuità con il sistema osseo, craniale e sacrale;
  3. Mobilità articolare delle ossa del cranio (suture) e dell’articolazione sacro-iliaca.

Secondo la visione classica osteopatica, l’ottimale funzionamento del MRP sarebbe indice di un buon funzionamento dell’omeostasi corporea, mentre alterazioni non fisiologiche del MRP possono essere concepite come una minaccia per la salute generale dell’individuo.

Nonostante questa metodologia venga comunemente praticata, l’osteopatia in ambito cranio-sacrale rimane tutt’ora controversa: dalla sua fondazione, infatti, i concetti alla sua base sono cambiati ben poco e questo aspetto ha indotto una piccola “falla” in merito alla sua accettazione in ambito clinico-scientifico. La sopracitata descrizione, infatti, è stata più volte confutata da antecedenti posizioni scientifiche, lasciando ancora aperta la questione su quale possa essere la reale origine del fenomeno.
Benché indizi ed effetti clinici della sua applicazione siano stati evidenziati, vi è tutt’ora la mancanza di un modello scientificamente plausibile che ne delinei i contenuti e colmi tutte le lacune.

Le nuove proposte: passare dal “Movimento Respiratorio Primario” al “Movimento Respiratorio Secondario”

Come un fulmine a ciel sereno ed in un momento storico di grande incertezza, è stato pubblicato su “Cureus” un esteso articolo diviso in due parti, sviluppato dall’intenso lavoro di ricerca di Bordoni B, Walkowski S, Ducoux B. e Tobbi F. (2020).
Gli autori, confrontandosi con le scoperte emerse negli ultimi anni, hanno cercato di costruire una base scientificamente plausibile per l’osteopatia cranio-sacrale e per le sue dinamiche terapeutiche.

Per cominciare, secondo gli studiosi, andrebbero confutate le teorie secondo le quali il MRP origini direttamente dalla massa cerebrale, dal midollo spinale e dalla circolazione del liquor, essendo quest’ultimo non più unidirezionale ed uniforme (come si pensava un tempo), ma oscillatorio e con forza, direzione, volume e velocità variabili a seconda
dell’area presa in considerazione. Inoltre, andrebbero confutate le precedenti proposte di correlazione con le onde Traube-Hering-Meyer.

Secondo i dati attuali, le dinamiche craniali dovrebbero essere viste più come un fenomeno indiretto e generato dall’attività diaframmatica e battito cardiaco, unici e principali motori d’innesco dei movimenti della massa neuro-fluidica del parenchima cerebrale. Stando a questa teoria, porre le mani sul cranio, significherebbe diventare consapevoli dello stato generale del sistema cardio-respiratorio, un aspetto strettamente correlato allo stato di salute dell’individuo. Questa ipotesi, ha portato i ricercatori alla sostituzione del classico concetto di MRP con un più moderno concetto di “meccanismo respiratorio secondario” (SRM), essendo questo un fenomeno indiretto e non
intrinsecamente scaturente dal sistema nervoso.

Verrebbero confermati, invece, i ruoli delle membrane intracraniche quale mezzo fisico per la trasmissione dei movimenti del SRM ma anche come elementi di rallentamento della frequenza percepita palpatoriamente. Ma cerchiamo di capire, nel dettaglio, le più importanti specificazioni proposte nell’articolo.

Specificazioni sulle suture e sulla sincondrosi sfeno-basilare

Il cranio dell’adulto è composto da 29 ossa e relative suture. Entrambe, suture ed ossa, possono essere presenti in numero variabile a causa della (non rara) presenza di ossa wormiane. Secondo la visione osteopatica classica, ogni osso cranico si muoverebbe secondo assi, piani e schemi di movimento caratteristici. Come specificato dagli autori,
questi sarebbero semplici schemi teorici e convenzionali, delineati allo scopo di aiutare
l’osteopata nell’interpretazione clinica delle dinamiche percepite; lo stesso Sutherland, infatti, afferma come tali schemi non corrispondono necessariamente alla realtà, mentre Viola Frymann ha suggerito come i modelli di movimento descritti possono essere il risultato di illusioni tattili.
Per di più, andrebbero considerati aspetti non di poco conto quali: le tempistiche di ossificazione delle suture, le caratteristiche meccaniche di ossa craniche e suture, gli aspetti di continuità anatomica fra periosto-meningi-sistema nervoso e la presenza dei fluidi biologici ossei (acqua e sangue).
Ad esempio, mentre alcune suture tendono a non ossificare o comunque ad ossificare molto tardivamente (es. le suture cranio-facciali, le suture occipito-mastoidea, la sutura parieto-mastoidea, le suture sfeno-parietale e sfeno-frontale), la sincondrosi sfeno basilare (SSB), da sempre considerata il fulcro meccanico del vecchio modello, inizierebbe a
subire un processo di ossificazione già in età puberale, un aspetto che non può più essere ignorato e che deve essere accettato.

Emergono, inoltre, conferme ed osservazioni di come le suture esprimano movimenti dell’ordine di grandezza di 5-17 micron (secondo altri 17-70 micron), range di movimento che, a detta degli autori, per quanto piccoli potrebbero essere comunque percepiti.
Le suture, per loro natura, sono costituite da tessuto fibroso ed osteoblasti, e presentano al loro interno uno spazio dove è possibile apprezzare la presenza di cellule mesenchimali, terminazioni nervose trigeminali e di fattori di crescita neurale (NGF). Questo aspetto è indicativo di funzionalità propriocettiva, nocicettiva, ma anche di un possibile coinvolgimento dei processi riparativi locali. Se a questi aspetti, dovessimo unire la loro intrinseca capacità di ammortizzamento degli stimoli meccanici, avremmo chiari segni della loro partecipazione agli stimoli meccano-metabolici corporei.

Oltre le suture, procedono gli autori, andrebbero considerate sia come vettori di trasmissione, sia come rallentatori, le stesse ossa craniali (la grande presenza di elastina e collagene, conferirebbe loro elasticità e capacità di deformazione meccanica pari al 10% -15%), la continuità anatomica durale (sistema meningi-periostio-ossa-parenchima cerebrale) e gli stessi fluidi ossei (questi ultimi garantirebbero un adattamento ottimale dei tessuti ed una migliore gestione delle tensioni meccaniche).

Specificazioni in merito alle proprietà meccaniche del cervello

Come espresso dallo stesso WG Sutherland, per comprendere il comportamento del cranio, occorrerebbe soffermarsi su alcune caratteristiche del cervello. Meccanicamente parlando, il cervello è classificato come un corpo solido, poroso e non lineare. Esso è costituito da un parenchima ricco di fluidi (80% -88%) ed è attraversato da questi ultimi
con costanza e periodicità.
Questo organo è altresì dotato di comportamento isteretico, ovvero, grazie alla sua viscoelasticità ed in presenza di deformazioni interne/esterne, può ridistribuire le proprie tensioni neuro-fluidiche e riconfigurare la propria morfologia originaria. In questo, la materia bianca, rispetto alla materia grigia, è di circa un terzo più rigida e possiede maggiore
anisotropia, partecipando in misura maggiore all’elasticità cerebrale. Nonostante con l’avanzare dell’età il cervello acquisisca maggiore rigidità, le sue capacità di ridistribuzione delle tensioni permangono e la sua parte solida continua a
resistere alla forza dei fluidi (variazione della pressione idrostatica), in un continuum idromeccanico costantemente in movimento e deformazione.
Anche in questo caso, le forze di deformazione meccanica (movimento cranio-caudale e latero-mediale) che il tessuto  nervoso subirebbe a causa del passaggio dei fluidi e derivante dall’azione del cuore e del diaframma respiratorio, sarebbero smorzate dalle proprie caratteristiche intrinseche e dalle caratteristiche fisico-meccaniche del complesso
meningi-osso-suture.
Questa considerevole presenza di neuro-fluidi, proseguono gli autori, potrebbe altresì permettere ipotesi sull’interazione terapeutica fra paziente ed operatore: non dovrebbe essere esclusa, aprioristicamente, la possibilità che durante la seduta si palesi un incontro
bidirezionale di informazioni fra il sistema operatore ed il sistema paziente, essendo l’acqua biologica un substrato necessario per la trasmissione di informazioni elettromagnetiche biologicamente attive.
Non a caso, ricordano i ricercatori, le molecole d’acqua contenute nei sistemi biologici sono dotate di capacità molto particolari e che meriterebbero ulteriori delucidazioni ed approfondimenti.

Specificazioni in merito al Sacro

L’articolazione sacro-iliaca rientra nella categoria anfiartrosi/diartrosi ed è formata dalla faccetta articolare sacrale dell’osso iliaco e dalla faccetta articolare iliaca dell’osso sacro.
La base del sacro (S1) e l’ultima vertebra lombare (L5) creano una sinfisi, mentre le rispettive faccette articolari vengono classificate come artrodie. Secondo la visione classica osteopatica, durante la flessione della SSB, la base sacrale viene trazionata cranialmente e posteriormente (contro-nutazione) mentre durante l’estensione della SSB, la base sacrale viene rilasciata antero-caudalmente (nutazione).
Effettivamente, l’osso sacro possiede una certa libertà di movimento, sebbene la sua entità non superi i 2 mm (con una media di 1,6 mm) e una espressività di 2 gradi. Nonostante questo piccolo range di mobilità, diversi clinici si sono pronunciati asserendo che non esiste, attualmente, un test manuale valido per identificare il movimento del
sacro rispetto le ossa iliache o manovre manuali capaci di modificarne la posizione.
Gli approcci manuali indirizzati verso l’articolazione sacro-iliaca, più che indurre una modificazione della posizione e dei rapporti fra gli elementi ossei, sembrerebbero infatti attivare precise risposte neurali, quali, la diminuzione dell’attività del motoneurone spinale e una diminuzione del riflesso di Hoffman.

Dunque, quale potrebbe essere la natura dei ritmi percepiti a livello sacrale? Come spiegare la sincronia fra frequenza sacrale e frequenza craniale?
Come sottolineato nell’articolo, l’osso sacro è influenzato da diversi parametri: movimenti delle gambe (es. durante la deambulazione), movimenti delle vertebre lombari e dal respiro. Quest’ultimo, in particolare, è stato evidenziato attivare la muscolatura del pavimento pelvico, inducendo un leggero movimento del sacro tra le ossa iliache.
Inoltre, ed anche in questo caso, potremmo trovare risposte a partire dall’anatomia e dalle caratteristiche funzionali delle meningi e dei neuro-fluidi spinali.
La dura madre spinale lombo-sacrale, se paragonata alla zona cervico-toracica, presenta uno spessore ridotto (103,74 ± 21,54 μm); il suo strato interno, contrariamente allo strato esterno, presenta un maggior numero di fibre di collagene, una caratteristica che le conferisce elevata resistenza ai carichi assiali. Per di più, nelle meningi spinali del sacro, troviamo caratteristiche funzionali simili all’area craniale (es. anisotropia durale). La formazione del sacco durale termina a livello di S1-S2, un’area in cui viene tipicamente identificato l’asse trasversale dei movimenti sacrali. Questo viene tenuto in posizione mediante i legamenti meningo-vertebrali, i quali a loro volta sono collegati alle lamine vertebrali ed ai legamenti gialli, mentre la pia madre del midollo spinale, ricoperta da spazio sub-aracnoideo, si fonda caudalmente a livello del filum terminale il quale, a sua volta, si ancorerà al coccige. Le caratteristiche funzionali della pia (presenza di collagene e fibre reticolari) consentiranno al filum terminale di mantenere un adeguato stato di
tensione ed elasticità.

Nei modelli animali è stato osservato come il liquor, a livello sacrale, abbia una velocità maggiore rispetto alle altre aree spinali; esso tende ad accumularsi per essere poi riassorbito, attraverso lo spazio sub-durale, dai vasi linfatici. Nella zona sacrale, infatti, troviamo un numero di linfatici maggiore rispetto alle altre aree spinali. Da qui in poi, il liquor non captato a livello linfatico viaggerà attraverso lo spazio epidurale (spazio tra la dura madre e il legamento giallo), presso l’area di fuoriuscita dei nervi spinali, dove non è presente la barriera aracnoidea. Nel complesso, la stimolazione cardiaca e respiratoria, permettono al midollo ed alla cauda equina di esprimere movimenti cranio-caudali ed oscillazioni inferiori al millimetro, queste ultime dovute con molta probabilità alle dinamiche liquorali descritte.

Calcolando l’elevata capacità di smorzamento dei carichi meccanici da parte dell’articolazione sacro-iliaca ed ipotizzando caratteristiche di visco-elasticità simili al sistema craniale, si potrebbe chiarire la dicotomia “frequenza dei ritmi vitali/frequenza del ritmo percepito”.

Considerazioni finali

Per concludere la sintesi dei due articoli…

Senza il costante spostamento dei neurofluidi, non ci sarebbe ritmo percepibile. Alla luce di quanto esposto dagli autori è possibile ipotizzare che, quando l’osteopata si pone in condizione di ascolto (craniale e sacrale), emergano dinamiche correlate alla salute
cardio-respiratoria ed all’attività diaframmatica, unici probabili “primum movens” dello spostamento della massa neuro-fluidica.
Tale variazione, per sua natura ritmica e periodica, sarebbe trasmissibile e contemporaneamente rallentata dalle stesse caratteristiche intrinseche degli elementi anatomici coinvolti e che, a loro volta, esprimono rapporti di continuità anatomica.
Parafrasando gli autori “dovremmo iniziare ad abbandonare l’idea che l’osteopata sia un rimodellatore osseo” e iniziare a ragionare su come l’azione terapeutica da prendere in considerazione inizi meccanicamente già dal contatto con l’epidermide.
Ricordiamo, infatti, come il tocco delicato (gentle touch) sia stato studiato scientificamente come attivatore delle afferenze dei meccanocettori mielinizzati e non mielinizzati (fibre Aβ, Aδ). È stato osservato, infatti, come tale attivazione induca il rilascio di sostanze oppioidi dal midollo spinale, capaci di inibire le vie nocicettive ed il sistema ortosimpatico ed un contemporaneo aumento dell’ attività del sistema parasimpatico.
Il modello presentato è un ottimo punto di partenza con cui confrontarsi, essendo nel suo insieme basato su osservazioni scientifiche reali, delineate da precedenti ricerche.
Sicuramente siamo di fronte ad un probabile punto di rottura con il passato, ma questo non deve spaventare o creare opposizioni aggressive, ma solo punti di riflessione e confronto. Sicuramente altri dettagli andranno approfonditi (come la capacità di percezione dei movimenti micrometrici) ma siamo davanti ad un possibile inizio.

Attendiamo pertanto ulteriori sviluppi, augurandoci altri tavoli di lavoro, confronti e non
solo guerre aprioristicamente violente.

FONTI:

Bordoni B, Walkowski S, Ducoux B, et al. (September 14, 2020) The Cranial Bowl in the New Millennium and Sutherland’s Legacy for Osteopathic Medicine: Part 2. Cureus 12(9): e10435. doi:10.7759/cureus.10435

Bordoni B, Walkowski S, Ducoux B, et al. (September 12, 2020) The Cranial Bowl in the New Millennium and Sutherland’s Legacy for Osteopathic Medicine: Part 1. Cureus 12(9): e10410. doi:10.7759/cureus.10410