Ad ogni terapeuta manuale è stata insegnata l’importanza di essere concentrato durante l’esecuzione di un trattamento, più che altro per sentire quanto succede nei tessuti toccati e trattati.

Pochi giorni fa è stato però pubblicato (open access) su Frontiers in Human Neuroscience uno studio1 (qui l’articolo su Tuttosteopatia.it) portato avanti da Francesco Cerritelli, direttore COME Collaboration, che esalta l’importanza dell’attenzione terapeutica, confermando un “sospetto” avuto da molti: l’attenzione del terapeuta influenza quanto succede nel paziente trattato.

Questo sospetto nelle decadi passate è stato stranamente poco analizzato: a nostra conoscenza, si contano infatti sulle dita di una mano gli studi che hanno provato a valutare gli effetti dell’attenzione (o dello stato di coscienza?) del terapeuta manuale, o più in generale di chi tocca, su quanto avviene in chi viene toccato. E questo nonostante siano aumentati sempre più gli studi sulle fibre nervose che trasportano le sensazioni tattili, studi che hanno evidenziato l’esistenza di una sottopopolazione di fibre C specifica per gli stimoli leggeri, lenti, delicati e piacevoli2 e i cui segnali arrivano, tramite la via lamina I-talamo-corticale laterale, fino all’insula, area fortemente coinvolta nell’interocezione (la consapevolezza corporea) e nei suoi risvolti emotivi, decisionali e sociali3.

Un bel libro che parla di pelle e tocco/contatto, Il Linguaggio della Pelle di Ashley Montagu4, scritto nel 1978 ma quanto mai attuale, sottolinea più volte l’importanza che l’emozione provata, ad esempio, dalla madre viene subito avvertita dall’infante tenuto in braccio. Lo “svantaggio” è che si basa principalmente su ricerca empirica, ricerca comunque tutt’altro da scartare perché, come emerso nell’ultimo convegno COME, l’analisi di quanto succede nella relazione, che oggi passa sotto il nome di medicina narrativa o analisi qualitativa, è fondamentale per direzionare la ricerca quantitativa.

Forse il primo studio che ha provato ad indagare gli effetti dell’attenzione di chi tocca è stato McCraty et al. (1998)5 che, nell’ambito delle ricerche dell’Istituto HeartMath sulle connessioni cuore-cervello, ha riscontrato come possano essere rilevati nell’EEG di chi viene toccato i segnali dell’ECG di chi tocca. Tenuto conto che l’ECG cambia a seconda dello stato di coscienza (nei loro studi, in particolare con una meditazione centrata sul sentire il respiro nella zona del cuore), allora gli autori ipotizzavano come l’attenzione terapeutica potesse ripercuotersi sul paziente e, potenzialmente, alterarne l’attività cerebrale.

Comunicare emozioni attraverso il tocco

Negli anni 2000, invece, il gruppo di Hertenstein6,7 (ma non solo8) ha condotto diverse ricerche su come le emozioni potessero essere trasmesse e riconosciute attraverso il contatto. L’esperimento era molto semplice: una persona doveva comunicare un’emozione ad un’altra tramite il tocco, avendo libertà nel modo di toccare e, in certi casi, anche nella zona corporea da toccare. Il risultato fu che emozioni come rabbia, paura, disgusto, amore, gratitudine, simpatia, felicità e tristezza venivano riconosciute con una discreta facilità e, quando le due persone erano in intimità, lo stesso accadeva persino per emozioni quali sorpresa, imbarazzo, invidia ed orgoglio. Benché vi erano dubbi su cosa effettivamente passasse fra le persone (intenzione, emozione, altro?), queste ricerche mostravano come qualcosa di non meramente “tattile-sensoriale” potesse venire comunicato e come la relazione fra le persone coinvolte influenzava il riconoscimento emotivo. Se consideriamo che la pelle presenta un’attività neuro-endocrina estremamente articolata (si pensa che l’asse dello stress è nato prima nella pelle e poi si è centralizzato) e con ripercussioni sistemiche9, una simile ricerca permette di ipotizzare che l’emozione trasmessa, e quindi lo stato di coscienza del terapeuta, siano fondamentali in caso di terapia manuale.

Lo stato attentivo dell’operatore modifica la connettività funzionale del soggetto toccato

Lo studio di Cerritelli et al. (2017), controllato randomizzato effettuato su 40 soggetti sani e valutati attraverso la risonanza magnetica funzionale, dà una forte spinta a questa linea di ricerca aggiungendo un fondamentale tassello in maniera molto più marcata e pregnante: un contatto continuo, leggero (0.2N ossia il peso di un oggetto di 20 grammi, come due noci) e attento alle sensazioni tissutali di consistenza, densità, temperatura, motilità e responsività (OTA: operator tactile attention) è in grado di aumentare l’anticorrelazione (correlazione fra un’area neurale che aumenta la sua attività e un’altra area che la diminuisce) in particolare fra la corteccia posteriore del cingolo (PCC), da un lato, e l’insula e il giro frontale inferiore (IFG), dall’altro.

L’anticorrelazione è stata rilevata anche quando il terapeuta, pur effettuando un tocco con la stessa forza, doveva stare attento ad una serie di sequenze di beep sonori per poi comunicarne il numero (OAA: operator auditory attention), ma durava per meno tempo. Mentre la PCC è inclusa nel default mode network ed è considerata uno dei substrati della coscienza (è coinvolta in funzioni quali emozioni, memoria e dolore), l’insula è inclusa nel salience network e, come detto, a capo dell’interocezione, e l’IFG è incluso nell’attentional control network ed è attivo in particolare quando l’attenzione è diretta internamente, come nell’immaginazione di un movimento. Si tratta pertanto di aree fondamentali per la regolazione allostatica dell’organismo e, in particolare, per la regolazione dello stato miofasciale e corporeo. Cerritelli et al. (2017) ipotizzano infatti che l’anticorrelazione indotta dall’attenzione tattile del terapeuta possa favorire nella persona toccata una maggior attenzione consapevole mirata al proprio stato interocettivo, o comunque una miglior regolazione dell’organismo dei segnali interocettivi.

Le interessanti conseguenze che possono venire tratte da questo studio sono tre:

  1. imparare a mantenere un’attenzione sostenuta durante un trattamento manuale è più che importante, non solo per avvertire cosa sta succedendo sotto i tessuti (di importanza comunque vitale), bensì per favorire nel paziente un importante cambiamento fisiologico;
  2. se una delle aree coinvolte dall’attenzione è l’insula, abbiamo una possibile conferma dell’ipotesi formulata sempre dal gruppo di Cerritelli che il tocco di una terapia manuale come l’osteopatia possa, tramite l’interocezione, agire sugli stati di sensitizzazione centrale che si ripercuotono sul sistema nervoso vegetativo e che sono alla base di molteplici problematiche, acute e soprattutto croniche10;
  3. a fronte di un’attenzione tattile sostenuta, basta un tocco veramente leggero (20 grammi di peso sono nulla!) per favorire potenzialmente grossi cambiamenti nella persona trattata.

Quest’ultimo punto è però da approfondire: infatti, sebbene lo studio di Cerritelli et al. (2017) abbia evidenziato che l’attenzione tattile del terapeuta si correla ad alterazioni nella connessione cerebrale del paziente,bisogna ora valutare quanto questo effetto abbia ripercussioni cliniche su fattori quali disfunzione somatica, HRV, etc. e, potenzialmente, quanto dell’efficacia terapeutica possa dipendere dalla tecnica attuata, dal tipo di tocco o dall’attenzione posta.

Bibliografia