Fin dall’epoca dei greci esistevano due scuole di medicina: una che sosteneva l’origine esterna delle malattie e l’altra, a cui apparteneva Ippocrate, che le riteneva originate dall’interno del corpo.

Con l’avvento del farmaco e comunque con il dominio incontrastato dell’industria farmaceutica non solo nell’approccio terapeutico, ma soprattutto nella formazione universitaria, si è verificato che la ricerca del “nemico” da “combattere” con il farmaco fosse funzionale al sistema, disattendendo il principio base della natura che vede in ogni aspetto una multifattorialità di cause regolate dalle leggi della complessità.

Chi opera con questo modello ha necessità di operare il “potere dominio” perché il paziente assuma il rimedio e non metta in discussione la prescrizione. Per essere autorevole, il medico, giustamente, deve avere dei segni distintivi: un camice, una scrivania, una laurea in bella mostra. Sappiamo bene come questa cosa sia importante e indispensabile nei casi in cui quel farmaco rappresenti un salvavita.

Il messaggio di Still è inequivocabile: lui riteneva che nel corpo c’è la più grande farmacia del mondo, che tutto è regolato dalle leggi della natura e della complessità; che la “malattia” nasce dalla riduzione di mobilità che a sua volta genera una riduzione di circolazione. Da qui  il principio della “regola dell’arteria”.

L’osteopata non cura ma attiva dei processi di guarigione anche tempo prima che il sintomo si manifesti. La terapia è rendere il paziente libero dal terapeuta (anche su questa cosa ci distinguiamo dai chiropratici). Non conta ciò che facciamo, ma come il corpo risponde a quello che facciamo e benché la risposta richieda del tempo, il beneficio è stabile.

In sintesi, volendo generalizzare, ci troviamo di fronte a due modelli:

quello competitivo che è centrato sull’egoismo che separa e che quindi pone dei confini, e quello cooperativo, che parte dal presupposto che non c’è separazione (come ci insegna la fisica quantistica) tra tutti gli elementi dell’universo, che ogni elemento sulla terra è connesso e ancora di più il terapeuta con il suo paziente (questo spiega l’effetto placebo). Al contrario, ogni volta che tracciamo un confine, creiamo un conflitto.

La cooperazione è aiutare gli altri come ci insegna Rosembreg: ci rende felici, genera amore, solidarietà e pace.

Può essere di aiuto il pensiero di Emilio Del Giudice, uno dei più illuminati ricercatori che abbiamo avuto in Italia che era molto vicino al mondo dell’osteopatia e brillantissimo ospite a un nostro convegno a Firenze (leggi l’articolo).


La legge della biologia richiede cooperazione. La legge dell’economia richiede competizione. Quindi una società competitiva è intrinsecamente patologica. La competizione è l’esatto contrario della risonanza: come faccio a risuonare con qualcuno se debbo competere con lui, perché o vinco io o vince lui? Finché esiste un regime fondato sulla competizione tra gli esseri umani, il problema della felicità non potrà mai essere risolto.
Emilio Del Giudice

In conclusione bisogna mettersi allo stesso livello del paziente per poter utilizzare lo strumento più potente in nostro possesso: l’amore incondizionato che permette al paziente di rispecchiarsi su di noi e potersi curare.